giovedì 1 dicembre 2011

Ippocrate e gli ipocriti

Ippocrate, chi era costui? Forse sarebbe meglio manco porsi tale domanda, quando la realtà ci sbatte in faccia un dibattito come quello scatenato (aridaje) dal raggelante episodio avente per protagonista – sbagliato, ma imposto da un’ironia beffarda quanto una nemesi - un revenant di epoche giurassiche quale Lucio Magri, pace all’anima sua. Alzi la mano chi, contiguo alla generazione che gaberianamente ha perso, pur abbarbicata a poltrone testarde nell’indicarne invece una specie di vittoria alquanto amara per il resto della medesima generazione rimasto fuori dai suoi giochini e giocacci, non si ricordava, magari solo vagamente, del bell’eretico (sia gloria agli eretici davvero tali), concupito dalle femmine e schinato appunto dai perdenti-vittoriosi di entrambe le chiese ancora dominanti nel nostro Paese, al netto delle giravolte e conversioni suscitate da crolli di muri subiti e mai metabolizzati. Lucio, dove sei stato in tutti questi anni, per tornare alla ribalta con il paradosso di quel gesto annichilente senza rimedio, che ha gettato nel cono d’ombra la più moderna figura del tuo personale Dottor Morte? A dire il vero, poco ci cale della coscienza di costui, ammesso ne abbia una. E già accettarne la marginalità apparente è il segno disperante di un horror vacui al contrario all’ennesima potenza, che tracima dalla nostra epoca per imbrattare ogni parola e ogni concetto si intenda esprimere di là dall’asettico rispetto e dall’asettica (stavo per dire) pietas riservata alla scelta di togliersi la vita. Viva l’ipocrisia!, è il caso di commentare, fra gli opposti bigottismi. Non ce l’abbiamo con la Svizzera, ci mancherebbe, né tampoco con il Vaticano, la Spectre papalina che tutto ammanta con la vaselina di curia, giusto per consentire un indolore passaggio a presunti osceni silenzi sulla mancanza di una legislazione adeguata a un nuovo grado di ‘civiltà’. Chi vuole farla finita, insomma, se ricco emigri fra le vacche e i cucù, se povero si spari o si impicchi. Ora, è buffo che siano proprio i libertari a volere incartare i drammi fra i commi e i ricorsi in tribunale, come se non fossero già troppe, in ogni campo, le leggi e i regolamenti. Abbiamo davvero bisogno di infilare nel codice la disperazione di un depresso, che è, fino a prova contraria, un malato bisognoso di cure? Se un medico si acconcia a spingerlo oltre l’orlo del precipizio, senza tanto clamore, la sua sarà un’opera meritoria o scellerata, ma rimarrà confinata nel privato, com’è giusto che sia. Personalmente, avendo visto da vicino l’orrido volto della depressione, sono poco incline a dar retta a chiunque cianci di libertà a sproposito, ma non impedisco ad alcuno di bersi il calice e financo di trangugiarlo, senza per questo spacciarne gli atti lesivi dell’istinto di conservazione per atti di libertà. L’ipocrisia, deprecabile dai moralisti, ha la funzione di preservare il tessuto sociale: come individuo non la pratico, il più delle volte, ma la reputo necessaria in tanti frangenti, e non mi scandalizzo certo, da libertario, per i cosiddetti ‘vuoti legislativi’ in materia etica, tutt’altro. Alla fine, l’essenziale è l’elasticità nella valutazione dei singoli casi, ma non certo da parte di una toga o di un assistente sociale o di un sindacalista dei depressi. Lasciamo le cose come stanno, non peggioriamole.