venerdì 27 maggio 2011

Se canti, ti suono!

Se ce l’avessi, a questo punto infilerei nel lettore un CD di Gigi D’Alessio. Magari mi andrebbero di traverso e l’aperitivo e il pranzo, ma stoicamente mi acconcerei ad ascoltarlo fino all’ultima traccia. Il guaio è che non ce l’ho, per il semplice motivo che, musicalmente parlando, detesto il menestrello neomelodico partenopeo e non ho in particolare simpatia, sempre sul piano delle sette note, manco quel gran pezzo di figliola di sua moglie Anna Tatangelo. Colto da sindrome dissociativa, altrimenti detta schizofrenia? No, almeno spero, considerando che il mio sacrificio sarebbe nel segno della solidarietà. Verso il cantante napoletano, fresco reduce dalla rinunzia a esibirsi nella serata di chiusura della campagna elettorale di Letizia Moratti causa minacce. E minacce mica da ridere, apparse sulla pagina Facebook dell’attempato scugnizzo subito dopo l’annunzio di avere accettato l’invito a spiegare l’ugola per la sindachessa uscente in quel di Milano, rivoltogli dall’organizzatore di eventi musicali Red Ronnie, un tizio che avevamo lasciato a crogiolarsi sotto il rosso sole dell’avvenire e che, alquanto inopinatamente, ci ritroviamo nello staff di madama Brichetto Arnaboldi. Bella conversione, quella del bolognese raccoglitore di memorabilia del mondo rock e dintorni, cui evidentemente non gusta l’estremismo soffice dei pisapiadi impegnati a contendere il territorio ambrosiano a una Moratti improvvisamente danzereccia e canterina pur di raggranellare quel pugno di voti che le garantirebbe di rimanere ancora in sella per cinque anni, a dispetto di gente invero già persuasa di avere conquistato la roccaforte meneghina. E che, proprio per tale convinzione, dà fuori di testa nella realtà e pure nella rete, se una stella di prima grandezza del firmamento canzonettistico nazionale decide di sostenere l’avversaria. Al punto di promettere, i fuori di testa, un’esecuzione (non musicale) del reprobo canterino e della di lui famiglia, qualora persistesse nell’insano proposito. Gigi ha gettato la spugna, spaventato e avvilito dal repentino giramento di spalle di molti suoi sedicenti fan, che oltretutto gli hanno ributtato addosso vecchie accuse di camorrismo, quantunque sia presumibile che una parte cospicua di essi, in altri tempi, di quelle stesse accuse si sia sempre fatta un baffo, non curandosi che il loro idolo avesse costruito la propria fortuna intonando canzoni ai matrimoni di tanti presunti capi e capetti della camorra. Ma tant’è, dopo gli anatemi savianeschi, pure la Moratti è in odore di ‘guapparia’ e così torna buono sto transfer da scaraventare addosso a D’Alessio. Il quale magari non piacerà a Lettieri, e tampoco a De Magistris, che di certo preferisce il ça ira quale colonna sonora della propria campagna, donde la scelta dell’artista di emigrare in Lombardia, scontrandosi per sovrammercato con i mugugni leghisti. In effetti, sembra vi sia stato un tiro incrociato di seguaci di Pisapia e di nemici dei terroni: una miscela micidiale che ha convinto Gigi a desistere. Personalmente, non ho mai prostituito i miei gusti musicali a quelli politici. Di là dal trovare intollerabile la levata di scudi contro un personaggio dello spettacolo non allineato al conformismo dell’ambiente, mi ripugna questo subordinare all’idiosincrasia faziosa l’apprezzamento per un artista. Amo tuttora le canzoni di fior di cantautori che hanno legato il proprio talento allo sgangherato, ma spesso vincente, carro della sinistra: considero tuttora un eccellente autore Francesco Guccini (ma la sua canzone sul Che è una vera ciofeca, a prescindere dall’ideologia), come pure Francesco De Gregori, che passò le sue dopo avere scritto Viva l’Italia, in un’epoca in cui ancora il patriottismo non era stato fagocitato dai nipotini di Marx. Vabbuò, Gigi, mi sa che rinunzierò a bearmi delle tue melodie languorose, ma per stavolta non ti sfrucuglierò: spero che la Moratti si ricordi di ringraziarti, se mai dovesse prevalere sull’avvocatino stinfio amato dal Leoncavallo, dove la musica di sicuro è diversa dalla tua: un gran rumore di chiavi inglesi e di spranghe, come ai tempi degli Inti Illimani.

giovedì 26 maggio 2011

I muscoli dell'ermellino

Si diffonde a macchia d’olio la perniciosa convinzione che la giustizia, o è esemplare o non è. Chi se ne frega degli stiracchiamenti del codice, delle forzature nelle indagini, dell’uso contundente delle norme? Qui bisogna colpirne uno, dieci, cento, per educarne mille, diecimila, centomila (forse la massima prediletta da Mao Zhedong, il Grande Timoniere della Rivoluzione, ormai introiettata dai piccoli timonieri delle procure, incuranti di condurre le loro picciole barche al naufragio in vista della montagna del Purgatorio). Qui si lanciano accuse gravissime, in quella che ci dicono sia stata la culla del diritto e che ormai ne è soltanto la tomba, giusto per mostrare i muscoli e confermare che, sì, la legge è uguale per tutti e, pertanto, noi spezzeremo le reni a tutti, ma proprio a tutti. Il sogno dei Vishinskij de noantri sembra il processo continuo, che fa pendant con il concetto trotzskista di rivoluzione continua, da istruire per ogni occasione e in ogni condizione, meglio se mancano i presupposti giuridici. Tanto, che alla fine si arrivi alla condanna o all’assoluzione di gente cui, nel frattempo, sarà stata distrutta in ogni caso la vita e la carriera, è particolare irrilevante: quello che importa è tenere ben oliata la macchina, affinché non smetta di perseguitare i colpevoli di ogni minimo gesto, dall’avance timida con un mazzo di fiori assimilata allo stalking caro alla ministra Carfagna (mai sentito parlare del buon vecchio reato di molestie?) all’oroscopo sbagliato sulla rivista dal parrucchiere, che avrebbe condotto – l’oroscopo, non il parrucchiere – al disastro in borsa della signora Cesira. E’ bastata un’ora di camera di consiglio ai giudici per le udienze preliminari del tribunale dell’Aquila e, zac!, i vendicatori non mascherati (la maschera, l’avremmo caldeggiata per motivi di pudore) hanno individuato gli untori per il sisma del 6 Aprile 2009 nei sette esperti della Commissione Grandi Rischi, che sottovalutarono i possibili esiti dello sciame di scosse antecedente il disastroso terremoto del capoluogo abruzzese, che causò la morte di oltre trecento persone e il ferimento di altre milleseicento. Ebbene, quei professori così poco preoccupati all’epoca adesso si dovranno preoccupare di difendersi da un’imputazione per omicidio colposo plurimo e lesioni: una bazzecola piombata loro in testa abbastanza inopinatamente, di là dalle leggerezze che, a posteriori, si postula abbiano commesso nel valutare i segnali premonitori del sisma. Ora, delle due l’una: o nel frattempo, zitta zitta, la scienza ha trovato il modo per prevedere i terremoti, oppure gli stimatissimi togoni aquilani stanno pigliando lucciole per lanterne, andando ben oltre le proprie competenze e il buon senso, al solo fine di beccare un capro espiatorio per l’immane tragedia. E, certo, ci si può interrogare sull’effettiva utilità di commissioni come quella posta sul banco degli imputati, che non avrà svolto gratis et amore Dei il compito assegnatole – ma questo è un discorso che pertiene a tutt’altro ambito. Tuttavia, non violentiamo la legge, estorcendole ciò che vorremmo dicesse e non può dire, a meno che non si cambino i presupposti stessi del diritto: al più, gli scienziati della commissione potrebbero essere stati negligenti (il che è tutto da dimostrare), ma non hanno scatenato il terremoto. In base alle loro conclusioni, non sono state adottate precauzioni che avrebbero salvato molte vite? Gli studiosi, al massimo, avrebbero potuto suggerire alcune misure, ma queste, in ultima analisi, spettano alle autorità: perché prefetto e sindaco si sono fidati ciecamente delle teste d’uovo, se avevano avvertito la necessità di interpellarle? Esiste un reato che si chiama ‘procurato allarme’ e nessuno voleva essere chiamato a risponderne. Se si ritiene che gli esperti abbiano sbarellato, possibile non vi siano correi? Meno male che la fattispecie ipotizzata è colposa, giacché di questi tempi non si sa mai… Chi sa perché, ci viene in mente la profezia farlocca sulla distruzione di Roma, che sarebbe dovuta avvenire l’11 Maggio, giusto quindici giorni or sono: nessun esperto a sentenziare, se non un tizio morto da anni, quindi non imputabile di ‘procurato allarme’, e la città che si svuota…

lunedì 23 maggio 2011

Ophelia agente del Mossad?

Sì, ci può stare, anche perché era di dominio pubblico, che Dominique Strauss-Kahn stazionasse sugli zebedei dello zio Sam. Ci può stare che gli USA bramassero averlo fuori dalle scatole al più presto, per impedirgli lo scherzetto di togliere al dollaro il monopolio monetario negli scambi internazionali, magari per mettere sul trono la ciofeca unica europea, che peraltro seduce di più gli operatori di quanto riesca da lumga pezza al faccione di George Washington. DSK anelava spedire in soffitta gli accordi di Bretton Woods, vecchi di più di sessant'anni, e già spinti in un angolo negli anni Settanta da Tricky Dicky, alias Richard Nixon, all'epoca becchino del gold standard, vale a dire della convertibilità in oro del biglietto caro a zio Paperone. E questo avrebbe significato una botta mortale per l'economia a stelle e strisce, che sarebbe stata aggredita da uno tsunami inflattivo di proporzioni bibliche. Ergo, l'individuo andava fermato con ogni mezzo, compreso lo sgancio di un'atomica mediatica sul suo capoccione di son of bitch maniaco perso della cosina. Sì, sembra che l'America non abbia tremato di fronte alla prospettiva di distruggere vita e carriera di un potente che si presumeva onnipotente: non essendo riusciti a 'impicciare' quel bambolotto bugiardino del marito della signora Rodham all'epoca in cui Monica filava, ai puritani è rimasto il trauma, con la voglia di far tombolare un suo pari grado, e finalmente la vendetta si è compiuta, grazie a una bonne d'hotel talmente indiscreta da intrufolarsi nella suite del cliente più prestigioso malgrado la luce rossa sull'uscio. I complottisti hanno deciso che la tentatrice fosse al soldo del Mossad, e questa è forse la nota più sorprendente dell'intera vicenda e anche la meno credibile. Però, a pensarci bene, le maggiori banche d'affari statunitensi, le stesse salvate da Obama, sono tutte in mano a finanzieri ebrei... Lo stesso DSK non ha sangue ebraico? Insomma, la solita cospirazione giudo-pluto-massonica. Liberi di crederci oppure no.

Foeura di ball i ministeri!

Sono affezionato alla Lega, ma la capisco sempre meno e anche mi ritrovo spesso con i dicotiledoni vorticanti per le sparate dei colonnelli di Bossi, oltretutto meno folkloristiche e divertenti di quelle di un tempo, quando il movimento nordista aveva la percezione piena degli umori popolari. E' forse il destino di chi, lottando lottando, alla fine si scopre issato su una comoda cadrega sideralmente distante dal luogo donde era partito? Lo stesso ruvido eloquio umbertiano - tranne nei casi sempre più rari di resipiscenza, quando sorge il sospetto che il foeura di ball dovrebbe essere pronunziato più spesso nei confronti di svariati soggetti, se non altro con funzione apotropaica - è quasi divenuto un pigolio doroteo, senza avere acquisito la morbida sfrontatezza di quei callidi democristianoni a mollo nell'acqua santa financo mentre sbrigavano i loro affari meno spirituali. Ed è triste la perdita dell'alone sulfureo e pagano dei vecchi pseudocelti, la cui mitologia ampollosa poteva e doveva far sorridere, ma fungeva benissimo da contraltare a quell'altra, salamellosa, dei nipotini superstiti di Stalin. Che Alemanno e la Polverini, povere anime, paventino lo scippo dei ministeri ai danni di Babilonia ladrona, è squallidamente scontato, in questo ridicolo tiro alla fune fra municipi. E dubito che siano certe promesse (o minacce?) a scuotere le orde bossiane di stanza in Mediolano, affinché si precipitino sulle urne sorde e grigie per salvare Letizia Augustola dall'assedio dell'erulo Pisapiacre.

mercoledì 18 maggio 2011

Piccola storia nobile

Bella storia, commovente il giusto: quel tanto che basta per pigliare un fazzolettino di carta e soffiarvicisi il naso, dopo un piantino liberatorio. Gli è che le toghe hanno un cuore e si preoccupano per il destino di tre creature indifese, smentendo quei cattivoni che le sospettano di tramare sempre contro la Giustizia con la maiuscola per inconfessabili mene politiche. Qui la politica non c’entra nulla, giacché stiamo a parlare di mafia, che notoriamente riguarda solo terzi e quarti livelli, costituiti da rappresentanti del popolo gaglioffi, i quali si spacciano talora per umanisti dediti alla cultura e alla ricerca storica – e, infatti, è dell’anno scorso la vicenda orribile di un capobastone sorpreso su quel ramo del lago di Como (o forse era quello opposto?) a spacciare un proprio comizio di reclutamento di picciotti per una serata di presentazione di fantomatici diari di un personaggio storico già colluso con la mafia al punto di mandare un suo scagnozzo, tale Mori, fin giù in Sicilia per fingere di menare colpi mortali agli uomini di panza dell’epoca, un po’ come sta facendo ora un suonatore di sax con gli occhiali rossoneri, strappato alla balera per vestire i panni di ministro in un governo pieno di quaquaraquà. Insomma, è mo’ da lunga fiata che i boss latitanti si lasciano beccare, ma i giudici che vigilano mica ci cascano: qua è tutta ammuina e 41 bis, che poi il bis non te lo giochi al lotto e funziona meglio il gioco dei pentiti, che magari ti consentono financo di entrare in parlamento a sfornare nuove leggi, ché intanto quelle esistenti le hai già massacrate con il martelletto a inchiodare sentenze fantasiose, quando le sentenze ci sono e non hai trascorso i mesi a ponzarci sopra senza guardare il calendario, così da far scadere i termini per la detenzione, che è un po’ come far scadere lo yogurt in frigorifero: uno spreco di latticini e di neuroni e pure di soldi (i primi li impiegasti per laurearti in Giurisprudenza e i secondi sono quelli sborsati dai genitori per mantenerti agli studi). Oddìo, ho divagato troppo e ancora non ho affrontato la lacrimevole storia del picciotto spedito agli arresti domiciliari da un giudice dal cuore capiente, che è poi la ragione di quest’articolo. Be’, se qualcuno pensasse che abbia voluto allungare il brodo per la pochezza della notizia, non andrebbe lontano dalla verità: in effetti, se ci sono mafiosi depressi, certificati come tali da medici coscienziosi (son tutte fole vi sia un commercio di fogli della mutua attestanti la patologia summenzionata: mafieggiare stanca e stressa più del semplice lavorare e Pavese era un dilettante), non si vede come non possano esservi mafiosi compresi della cura della prole, che mica si affida al primo venuto, alla tata o al nido. Lo ha esplicitato un gip palermitano, che ha mandato a casa un affiliato (a onor del vero, solo presunto) a una cosca di Partinico, il quale si trova nella condizione di dover badare a tre figli piccolissimi durante l’assenza della moglie lavoratrice. Per carità, non mettiamo in dubbio che sia così, e pensiamo immediatamente al grande senso della famiglia che hanno i mafiosi, e poi si sta parlando al massimo di un untorello (presunto!), ma qualcosa non ci sconfinfera: siamo in un paese dominato dagli assistenti sociali e, appunto, dai giudici, che non ci pensano due volte a sottrarre un bambino ai poveri diavoli onesti per il solo fatto di essere indigenti. E più non dimandare.

martedì 17 maggio 2011

Ornitocrazia fasulla

Puzza di bufala lontano un miglio, ma intanto il potentissimo direttore organizzativo del Fondo Monetario Internazionale e aspirante candidato presidenziale all’Eliseo, Dominique Strass-Kahn, se ne sta in bujosa a riflettere sui guai che la passione per le donne potrebbe arrecargli nell’immediato futuro: tale Cyrus Vance jr., procuratore distrettuale niùiorchese con la fissa delle aggressioni sessuali da reprimere anche quando non esistono (sono spuntate dal suo curriculum almeno due accuse recentemente rivelatesi infondate), vuole trascinarlo in catene davanti a un giudice, dopo avergli negato il pagamento di una cauzione stratosferica, per lo stupro ai danni di una cameriera del Sofitel di Manhattan, non si sa quanto piacente, che afferma decisa di essere stata costretta alla pratica preferita da Bill Clinton nel suo intrattenersi con la consenziente Monica. Già questo dovrebbe far drizzare le antenne, e non altro, al magistratone così persuaso che la donzella la conti giusta, se fosse in grado di rappresentarsi l’intrinseca difficoltà di ottenere tale servizio da un soggetto recalcitrante. E riconosciamo pure a un sessantaduenne infoiato la prestanza necessaria per piegare la vittima, giacché DSK non ha le sembianze di un vecchietto macilento (oggi la terza età sopravviene molto più tardi, considerando anche certi figuri con pregressi problemi di prostata nondimeno avvezzi a orge ripetute con signore prezzolate fornite da viscidi agenti in odore di frociaggine: il massimo della libidine per togaccioni guardoni), ma il pericoloso criminale, che meriterebbe di avere le fattezze patibolari di Johnny 23, il galeotto interpretato da Danny Trejo nel film Con Air, giustamente paragonato a uno scaracchio da John Malkovich, non si sarebbe accontentato di costringere la terrorizzata serventa rifacitrice di letti all’abominio della fellatio, bensì avrebbe volentieri proseguito con quell’usanza che provocò la furia divina sulla città di Sodoma. E ancora ammettiamo il vigore e l’insaziabilità del mai troppo vituperato reggitore dei destini monetari del mondo, ché non vi è limite alla porconeria del maschio sciovinista (mica tutti i Francesi sono galanti…), però bisogna essere cretini sesquipedali obnubilati dalle esigenze del proprio uccello per inseguire con l’asta brandita in un corridoio d’albergo una tizia assolutamente non convinta di dover sottostare al tuo repentino desiderio.. Vi è da dubitare che Strass-Kahn potesse comportarsi come un anonimo mandrillo scemo in crisi d’astinenza, quantunque colto da delirio d’onnipotenza: mica si trovava in una scalcinata pensione da suburra, né in un motel da pornazzo virante verso l’horror, dove avrebbe potuto correre dietro alla vittima imbracciando una motosega per tacitarla. Tanto più che l’uomo covava un presentimento, non si sa quanto millantato, espresso meno di un mese fa a un giornalista amico: gli imbecilli ora scriveranno che si stava preparando l’alibi, ma, conoscendo la propria debolezza, cioè l’eccessivo (?) interesse per la gnocca (già sentita pure questa, con un tizio dalle nostre bande tacciato di patologica attrazione per le fanciulle in fiore, ergo inadatto a rivestire cariche istituzionali), egli paventava che si utilizzassero le sue avventure galanti per screditarlo agli occhi dei suoi possibili elettori nella non impossibile sfida al declinante Sarkozy, futuro neo-papà nell’alveo rispettabile del matrimonio con la Bruni. Guarda caso, non appena messo in ceppi il satiro Dominique dal puritanissimo procuratore, spunta fuori una gazzettiera transalpina, tale Tritane Banon, che starnazza con magnifico tempismo di una violenza che avrebbe subito dal mai domo Strass-Kahn nel lontano 2002, con la ciliegina della mancata denunzia, cinque anni dopo il fattaccio, causa intercessione della madre di lei, socialista al pari del reprobo: insomma, sarebbe stata più forte la solidarietà di partito dell’amore materno. Mah…

domenica 15 maggio 2011

Quando c'è lui, cara Lei...

Mi scusasse Vossia per l’apoditticità, d’altro canto in linea con il personaggio (dell’uomo non so, né in fondo rileva granché), ma Vittorio Sgarbi è del genere “o lo pigli o lo lasci”. Non si può pensare di ingabbiarlo in una trasmissione preregistrata, giusto per prevenirne marachelle o mattane o colpi di genio. E invece la sua corregionale appena nominata direttora generale della RAI, l’antropologa cattolica Lorenza Lei, con trascorsi nel mondo della moda (è stata responsabile del marketing per Valentino, prima di approdare in Viale Mazzini), compie uno sgarbo efferato verso il critico d’arte, sia pure in nome di Dio, e gli ordina di apparire sugli schermi in differita, presumibilmente con la benedizione dei suoi sponsor in linea diretta con l’Altissimo, i cardinali Bagnasco e Bertone (un’accoppiata che depone già da sola a favore dell’accortezza bizantina della signora, che riesce ad essere gradita in contemporanea al dominus della CEI e al primo ministro di papa Ratzinger, spesso neppur troppo felpatamente discordi fra loro). Pietra dello scandalo, è il caso di dirlo, la prima puntata del nuovo programma ideato dal fumantino ferrarese – si discute ancora sul titolo della trasmissione, che potrebbe non essere Il mio canto libero, causa probabile veto della vedova di Lucio Battisti -, dove avrebbe dovuto comparire un teologo non proprio nelle grazie delle gerarchie vaticane, tale Matthew Fox, a discettare nientepopodimeno che sul Principale dei summenzionati porporati. Gloria in excelsis Deo e così sia, con il rischio concreto che a sbottare per l’offesa non sia il Padreterno, impegnato in vicende più serie, bensì l’ex sindaco di Salemi. La Lei, che dicevano gradita a Berlusconi (non guasta certo che appaia dalle foto come una bella donna dal piglio deciso), e per questo intronizzata nella poltrona di recente abbandonata da Masi, ha privilegiato i suoi veri mentori rispetto al bungador cortese e ha esordito nel ruolo di castigamatti dell’emittente di stato con una prolungata leccata ai ‘poteri forti’ che cavalcano il vetusto destriero di Viale Mazzini: nessuno, infatti, si nasconde che, mentre Sgarbi viene mortificato coram populo dal bastone hautecouturien della ‘dama di ferro’ vezzeggiata dal berlusconiano Quagliarello, che la porta in palmo di mano con la sua Fondazione Magna Charta, la medesima Lei fa gli occhi languidi al Santoro in guerra con Bruno Vespa e alla zarina Bianca Berlinguer ‘dossierata’. Ora, la discontinuità con il predecessore Masi è lampante, se si considera che fu costui a chiamare il diavolo Sgarbi e a fissare le modalità del programma, che sarebbe dovuto andare in onda senza il filtro di una valutazione dall’alto: insomma, Masi si fidava e non temeva alzate d’ingegno del conduttore. Un cavallo sciolto, dunque, ma non tale da impensierire il cavallo RAI: un uomo di cultura non dedito ai bestemmioni da reality e alle violenze sanguinose di certi telefilm acquistati a scatola chiusa; un uomo di cultura cui al massimo si può imputare uno sbraitone verso la capra di turno, o un’overdose di narcisismo, che peraltro non difetta ai principini dell’opinione omologata e preconfezionata e unidirezionale, improvvisamente e improvvidamente cari alla capace (e antennuta) neomarescialla ‘mazziniana’. Se il buongiorno si vede dal mattino… aspettiamoci un aumento di canone per ammortizzare la buonuscita di tre milioni che Sgarbi minaccia di chiedere in caso di sua dipartita dal programma stravolto.