giovedì 22 settembre 2011

Secedo, ergo sum

Tutti dicono abbia perso il fiuto e non sia più in grado di annusare l’aria che tira, prigioniero di un ‘cerchio magico’ dal diametro asfittico, sempre più stretto e sempre meno capace di quelle magie che scaturivano da una minuscola ampolla e innervavano lo spadone da celodurista sprezzante del capo padano. Di pugnace, all’Umberto, sarebbe rimasto solo il terzo dito, che ormai svetta più per irridere i gazzettieri che per aprire la via ai nemici di Roma ladrona. Forse a prenderlo sul serio è solo più quel nullafacente invecchiato di Casarini, il quale è uscito dal proprio letargo esclusivamente per guastargli la festa in laguna, giusto per copiare i pirlacchiotti in fascia tricolore che poco tempo prima i bravi pedalatori del Giro di Padania non hanno avuto il buon gusto di arrotare dopo la seminagione di puntine da disegno sul percorso del medesimo. A molti avrà fatto tristezza, e pure tanta rabbia, che il babbo del Trota si sia intestardito nelle scorse settimane a montare il cavallo sbagliato della difesa ad oltranza delle pensioni (quantunque sia ammirevole la lealtà, magari pelosetta, mostrata dai vertici belleriani nei confronti dei molti poveri cristi nordisti schifati dall’ennesimo indecoroso balletto in materia da parte di gente incapace di accennare un benché minimo mea culpa riguardo all’immane sperequazione previdenziale tuttora in vigore), oltretutto sponsorizzando l’idea perversa di imporre la patrimoniale ai presunti riccastri, nonché quell’autentico autogol rappresentato dall’aumento dell’IVA, che tanto nuocerà nell’immediato futuro alla nostra economia. Ecco, un Bossi così malridotto non lo vedevamo dai tempi del maledetto ictus, e forse un’operazione al gomito non è il viatico migliore per rinverdire i fasti del gesto dell’ombrello, come pure il guardarsi in cagnesco fra gli adepti della Marrone e i seguaci di Maroni, costretti ora, questi ultimi, a filarsi obtorto collo il ‘semplificatore’ Calderoli per non cadere sotto i colpi delle femmine terribili del capo, la Manuela e la Rosi, le ‘terronizzatrici’ in gonnella del più vecchio partito presente in Parlamento. Ma chi si domanda se valesse la pena far imbufalire il vegliardo quirinalizio, che guai a toccargli il giocattolone del centocinquantenario dell’unità d’Italia, al punto di farsi trattare come un cane in chiesa per avere riesumato l’idea della secessione padana, sia pure da ottenere attraverso un referendum peraltro impossibile, ancor più di una consultazione su temi fiscali, dimostra di non avere affatto capito, a distanza di più di vent’anni, lo spiritaccio del genio acciaccato di Cassano Magnago. Se continuiamo a lasciarci svillaneggiare dai prezzolati obamiti delle dannate agenzie di rating, che procurano orgasmi solo all’opposizione nostrana, il minimo che ci meritiamo è una rodomontata in stile pontidiano del vecchio Senatùr, rivoluzionario piccolo-borghese in disarmo, ma pur sempre in grado di tenere buoni i propri sindaci dinamitardi, molto più di quanto riesca al valido Alfano con le riottose truppe pidielline sempre in procinto di farsi sedurre dal bel Casini. Da secessionista convinto, so bene quanto poco valga la boutade in tal senso dell’antico Raìs, asserragliato nella Sirte varesina a causa della guerra di successione scatenata da personaggini timorosi del diluvio prossimo venturo. E se il PD ci può raccontare impunemente la balla di un Paese pronto al rinascimento se solo lo Smandrappavulve di Arcore togliesse l’incomodo, non vedo perché i barbari leghisti mazzolati dai delinquenti dei centri sociali non possano sognare il ritorno all’Eden grazie al divorzio dai succhiatori di capezzoli statali attestati sotto la Linea Gotica (quelli sopra sparirebbero d’incanto…?). Diamine, qui l’identità ce la depredano da almeno cinquant’anni, perciò non stupisca il coniglio riciclato da Bossi, che almeno non esibisce cilindri donde cavarlo.

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