mercoledì 9 novembre 2011

Bulli, pupe e pugnette

Lo hanno fatto arrabbiare e ora ne pagheranno il fio. Quanti si illudono che stia a leccarsi le ferite sperimenteranno presto la portata del loro errore di valutazione. Contando sull’impressione che fosse ormai sull’orlo del kappaò, hanno insistito nello stringerlo alle corde, fidando nel lancio della spugna, che è arrivato, ma non nel modo che si sperava: in effetti, gli stessi commentatori a bordo ring si ritrovano confusi sull’esito reale dell’incontro, che avrebbe dovuto segnare l’uscita definitiva dalla scena di un pugile suonato, pallida ombra del campione di un tempo, apparentemente rovinato dalla troppo assidua frequentazione di donnine allegre nella vita fuori dal quadrato della politica, prima.distratto e poi distrutto dai suoi stessi vizi. Il guaio è che il gong si è sovrapposto alla resa di un atleta rimasto in piedi, quasi fosse stato egli stesso a guidarlo un attimo prima che il pugno dell’avversario gli centrasse il mento. E adesso vi è la prospettiva che sia ancora il vecchio leone a stabilire l’entità della borsa e le modalità e i tempi della rivincita. Pur consci che, fino a prova contraria, Silvio non sia Dominiddio, e che, pertanto, possa metterci più dei canonici tre giorni per risorgere, nulla si può escludere al riguardo. L’arbitro del match, di cui si favoleggia abbia servito come carrista di complemento nell’Armata Rossa, a dire il vero, è sembrato più interessato a mostrare al pubblico la propria camicia linda di bucato e il papillon di ordinanza che ad evitare i reciproci colpi sotto la cintura dei contendenti, anche se ora, dopo avere evitato di alzare il braccio del presunto vincitore, dà l’idea di voler scalfareggiare un po’ troppo. E il laticlavio elargito improvvisamente alla ragazza sculettante dei cartelli delle riprese, tale Mario Monti, che come secondo lavoro ha quello del menagramo professionista in giro con il circo Barnum per le capitali d’Europa, dove gli infilano mazzette di euracci nel cavallo dei calzoni dopo i numeri di lap dance, è un brutto, bruttissimo segnale. Intanto, continua a rimanere ignota l’identità del boxeur che avrebbe chiuso l’epoca di Berlusconi. Un habitué dei bassifondi parlamentari, tale Barbato, forse imboccato da allibratori restii a pagare le (modeste) quote sulla sconfitta del Tigre di Arcore, giura che l’eroe della serata sarebbe un certo Pomicino, un revenant riesumato e rivitalizzato dalla ter apia voodoo del re degli slums democristiani di Montecitorio, il belloccio Casini. Altri propendono per una femme fatale con passato di antennista nel quartiere di Catodia, la pericolosa dark lady Gabriella Carlucci, già pupa di gangster al soldo del detronizzato Silvio. Pochi ritengono che il merito della caduta di costui vada alla vecchia zia Bersanofia, un’innocua pensionata con l’hobby dei proverbi e delle lenzuola ricamate, quantunque siano in parecchi a sostenere d’averla vista scommettere sulla débacle del campione forti somme prestatele sottobanco da un tizio di Sesto San Giovanni, giusto per rimpinguare le casse della casa degli orfani di Marx e Lenin da lei gestita. E la paura degli aficionados della noble art, se mai l’odiato-amato Berlusconi non riuscisse alla fine a riconquistare la corona dei massimi, è quella di morire democristiani, come vent’anni fa.

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