venerdì 3 giugno 2011

Giungla aiazzonica

Le Tigri di Mofreghem hanno fallito l’arrembaggio e adesso si sentono più cornute e mazziate di prima, ammesso che fra loro ci fossero davvero i clienti truffati dai gestori del mobilificio Aiazzone, vale a dire la triade succeduta ai vecchi proprietari dell’azienda fondata dall’omonimo imprenditore piemontese, morto in un incidente aereo giusto un quarto di secolo fa e del quale si vociferava avesse stretto un patto con il diavolo per giungere al successo, patto arrivato a scadenza proprio al momento della disgrazia. D’altro canto, l’alone di sfiga che circonda l’ex impero del mobile a basso costo non è una novità: dalla scomparsa del fondatore, il declino del marchio ha proceduto inarrestabile, fino a costringere gli eredi alla svendita nelle mani di personaggi incapaci di riportarlo agli antichi fasti, anzi, bravissimi ad affossarlo del tutto con un fallimento presumibilmente pilotato in vista della razzia da compiere ai danni di dipendenti e acquirenti. Pur con tutte le riserve del caso, cui è obbligato ogni garantista ad oltranza che si rispetti, rimane la sgradevole impressione che la vicenda si sia svolta nel segno dell’arraffamento. E ad arraffare ci hanno sicuramente provato i prodi assaltatori del magazzino di Pognano, in provincia di Bergamo, posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria in attesa del processo che dovrebbe stabilire le responsabilità del crac e l’entità dei risarcimenti alla lunga lista di creditori. Dal mese di Gennaio in avanti, sembra proprio vi sia stato uno stillicidio di tentativi di furto all’interno del fabbricato ospitante la pletora di mobili ed elettrodomestici costituente il patrimonio tangibile della società. Erano duecento, di tutte le età e multietnici (molti immigrati conquisi dal sogno della cameretta e della cucina pluriaccessoriata), e certo forzuti, per il lavoro che si prefiguravano, di asportazione la più massiccia possibile, e sono stati pescati mercoledì pomeriggio, quindi alla luce del sole, dai carabinieri al servizio del capitale, che non hanno avuto pietà e ne hanno identificati una quarantina, come i ladroni di Alì Babà – i meno svelti a posare gli arredi, quattro pirlotti quattro, si sono beccati la denunzia per furto. Ora, di là dalla fessaggine di presentarsi in corteo in pieno giorno, con un codazzo di camion e furgoni, in un’area occhieggiata dalle forze dell’ordine per episodi ben conosciuti in tutto il circondario, non sembra ozioso interrogarsi se un’azione del genere non sia stata piuttosto organizzata con altre modalità dal semplice passaparola fra vittime di una truffa e con fini molto meno romantici di una giustizia fai-da-te, che peraltro, mentre affascina al cinema e in letteratura, nella realtà risulta un gigantesco gesto dell’ombrello rivolto a tutti gli altri defraudati, che non per questo si sono messi in condizione di infrangere la legge. E, ancora, non sarà che, per tale genialata, si siano radunati invece tutti i furbetti della zona, per sfruttare a proprio vantaggio la frustrazione degli onesti compratori di mobili, derubati di caparre e di speranze, vieppiù frustrati dalle lungaggini della malagiustizia? No, sti Robin Hood del self service non ci gustano mica, e non solo perché gratificati subito dalla comprensione pelosa del rifondarolo Ferrero, e financo di qualche toga in libera uscita fregnacciara, che ci spinge a mal pensare su come finirà questa storia di esproprio piccolo-borghese, se incocciasse nel martelletto di un giudice fantasioso o casseur , ma anche e soprattutto per averci ricordato come ormai viviamo in una repubblica fondata sul non pagare dazio. Sarebbe vergognoso che i veri derubati dovessero aspettare le calende greche per avere diritto a una misera elemosina e, nel frattempo, gli altrettanto veri derubanti fossero acclamati come eroi del nostro tempo.

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