sabato 18 giugno 2011

Nessuna frattura per la vecchia costola

Dicono di avere vinto i referenda, ma sono sempre ad aspettare che qualcun altro tolga loro le castagne dal fuoco, perché da soli non riescono manco a fare pipì. Gli eredi del glorioso PCI sono ridotti all’accattonaggio politico e sperano nel buon cuore dell’Umberto, che si dovrebbe commuovere tornando a calcare il pratone di Pontida, al punto di fare l’elemosina alla povera Bersanofia con la manina adunca in attesa dell’uscita dei fedeli dalla funzione domenicale, giusto per raccattare qualche spicciolo di carità. Il premio grosso per tanta attesa sarebbe l’annunzio da parte del gran capo leghista di voler procedere al licenziamento in tronco di Berlusconi, come se questi fosse il maggiordomo rincoglionito e pasticcione da cacciare a calci in culo per la gioia della plebaglia assiepata fuori dalla casa padronale. Per il popolo rosso e rossiccio, ciò costituirebbe il vero risarcimento per la delusione patita con il principe di Montecarlo, il tortellino intortato dal perfido Cav agli albori della storiaccia del bunga bunga, anch’essa foriera fallace di speranze tramortite di là dalle manovre ancora in corso della feldmarescialla Bokassa. No, gli scialbi epigoni di quel Togliatti, che invano anelò stampare l’orma dei propri scarponi chiodati sulle terga di De Gasperi, non si possono accontentare che un barbaro discendente dal ramo eretico della loro pur vasta famiglia, l’erulo Pisapiacre - avente per sponsor il primo tesserato piddino piddò ispiratore della filosofia uòlteriana, oggi considerata sconveniente dai generali raccolti intorno allo Smacchiatore di Giaguari -, abbia costretto all’abdicazione Letizia Augustola, ultima imperatrice mediolanense. Essi vogliono, sempre vogliono, fortissimamente vogliono, al pari di quel frangiscroto dell’Alfieri, l’annichilimento di Silvio, che non è un fanciullo cantato dal poetastro Vendola, bensì l’attempato signore che frantumò la macchina da guerra di Achille Cerebro Veloce, più rapido a cambiare la ragione sociale del loro partito che a prevedere la tranvata in cui sarebbe incorso per mano del summenzionato. Al pari dell’Alfieri, gli stanchi replicanti del fustacchione Pajetta si fanno legare, non alla sedia, bensì al totem del momento, tipo il quesito taroccato di un referendum farlocco, per menare poi vanto di averle suonate al Suonato di Arcore. Adesso tampinano il Senatùr quasi fosse una green lady concupita da un assicuratore bietolone, come ne La fiamma del peccato, con la differenza che stavolta l’esecuzione materiale del delitto spetterebbe alla maliarda, che dovrebbe eutanasicamente staccare la spina all’ingombrante marito, affaticato dai bunga bunga di cui sopra. Ma il Bossi, benché padre di una Trota, non è un merluzzo che si impolenti facilmente, soprattutto conoscendo l’indole dei polentoni che finora lo hanno seguito nel bene e nel male. Ai polentoni il Berlusca forse non gusterà alla follia, ma vi è da credere che nessuno fra loro sarebbe così fesso da consegnarsi a Bersani e a chiunque venisse dopo di lui. Il padre-padrone della Lega, già divoratore dei propri figli come Saturno, non vorrà essere divorato a sua volta: come ultimo grande animale politico di quest’Italia più terrona che padana, blandirà i suoi Celti dalle lunghe corna con proclami tonitruanti sul fisco e minaccerà con juicio l’alleato semibollito, accordandogli nuova fiducia condizionata e lodando l’opposizione del fido Sancho Maroni all’avventura neocoloniale in Tripolitania. E lascerà di princisbecco l’uomo di Bettole, che non potrà riempire i propri Quaderni Piacentini con nuovi peana alla vecchia ‘costola della sinistra’. Compagni, accontentatevi della Bindi come vostra Eva!

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